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giovedì 8 gennaio 2015

IL RABBIOSO TRAMONTO DELL'EURO, IL TTIP E GALBRAITH (su un topos di Kalecky e sulla religione della...stupidità)



L'euro, notoriamente un dead-tool walking, deve reggere ancora (nelle intenzioni qualche anno?) per consentire almeno l'assestamento del mercato del lavororiformato
Il resto, in fondo, sono compromessi per prendere tempo facendo finta, o ben sapendo, che il fiscal compact non è applicabile. 
Si arriverebbe così al mercato del lavoro ideale per gli Investimenti Diretti Esteri (IDE: in acquisizione), come sta imparando a sue spese la miracolosa Irlanda, paradiso distopico dell'(ex)mercantilismo UEM style. (Mentre gli iberici, altri additati come esempio di €-successo, se la passano altrettanto maluccio)

E questo perchè, in vista del Transatlantic Trade and Investment partnership, non aspettano altro per riversarsi sui pochi settori industriali ancora in vita e sul vecchio e, specialmente, nuovo settore dei servizi; quest'ultimo verrà creatoprivatizzando pensioni e sanità, da devolvere a soggetti finanziari stranieri cui si aprirebbe un ghiotto mercato in Europa. Infatti, nessun normale cittadino - o politico, italiano meno che mai-  sa quali siano gli allegati attuali delle bozze e quali settori di servizi includano, necessariamente in estensione del novero dei servizi "liberalizzato" in UE dalla direttiva Bolkenstein.

E dunque l'euro tramonta sfiammeggiando, nell'attesa che il Ttip si abbatta su di noi, mediante diritto internazionale autoapplicativoenforced da arbitri privatipagati dalle multinazionali, come ci avverte Stiglitz. 
Questo diritto internazionale autopplicativo e bypassing le corti nazionali "in nome del popolo", viene elaborato ed approvato secondo una sorta di rito esoterico, sul quale i parlamenti non possono e non potranno dire nulla.
In attesa del compimento del rito, dunque, l'euro, nel suo tramonto di rabbia (verso l'umanità), continuerà a costituire il mezzo di normalizzazione del lavoro-merce, divorando le Costituzioni democratiche.

E' poi solo un apparente paradosso che l'euro, nel momento della sua massima efficacia applicativa, si spenga.

Non è infatti un paradosso una volta che lo si consideri, senza l'aggressiva isteria dei suoi attuali sostenitori,  nella sua ben orchestrata e genetica a/simmetria. Che non poteva per definizione funzionare ma che è servita a creare - dissimulato dall'instillazione mediatica del senso di colpa- l'indispensabile stato emergenziale continuativo, arrivando così a riplasmare definitivamente l'ordinamento italiano, in modo da instaurare il meccanismo per cui solo il lavoro debba sopportare il peso delle crisi economiche periodicamente innescate dal capitalismo finanziario.
Com'è intuibile da quanto detto finora, lo schema in corso, per chi sappia vedere il disegno complessivo di medio-periodo, mette da parte d'un balzo le poche rovine ancora in piedi delle Costituzioni democratiche e disattiverà il residuo intervento pubblico NON supply side, secondo le premesse nel neo-liberismo macroeconomico.
Dimenticandosi così la domanda aggregata (ormai una bestemmia), se non nello stretto necessario in cui essa si correli all'unica ipocrita bandiera della "lotta alla disoccupazione": ma senza più una dinamica retributiva legata alla produttività (sarà facile accorgersene quando non ci sarà più l'euro; ma per allora contano che ci saremo abituati), la crescita, come dice Krugman, sarà sempre inferiore alla potenzialità del sistema.
In compenso, il potere delle oligarchie finanziarie sarà stato ben consolidato e dell'output gap chissenefrega.

Sul perchè "Essi" vogliano tutto questo, programmandolo di rilancio in rilancio internazionalista-liberoscambista, sappiamo cosa disse Kalecky. Brutalmente pose la questione in termini di conquista del potere politico, cioè sull'intera società organizzata in istituzioni (ordoliberiste e in prospettiva internazionalizzate, cioè privatizzate), che fa aggio sul livello dei profitti.

Ma vi voglio riportare la analoga e quasi psicanalitica spiegazione che ci fornisce Galbraith nel suo "Storia dell'economia", pagg.243-244:
"La reazione degli imprenditori al Social Security Act segnò l'inizio di un mutamento nei rapporti tra gli economisti e il mondo imprenditoriale (rapporto oggi pienamente recuperato, peraltro ndr.); da questo momento in poi ci sarebbe sempre stato un certo grado di tensione. Gli economisti non sarebbero stati più la fonte di una benigna razionalizzazione in senso classico degli eventi economici...C'era stata un'indicazione di questo ruolo contrario nel caso dell'acquisto dell'oro da parte dello Stato; ora, con il sorgere dello Stato assistenziale, tale ruolo diviene manifesto. E, ben presto, con John Maynard Keynes, lo sarebbe diventato in modo lampante.
Si pone la domanda del perchè il mondo imprenditoriale abbia opposto resistenza a misure economiche così dichiaratamente volte a difendere il sistema economico, domanda che si sarebbe riproposta in modo insistente e pressante in rapporto all'azione keyesiana.
Questa resistenza è stata attribuita tradizionalmente alla miopia -o, nel modo di esprimersi di chi non si fa tanti problemi nella scelta dei vocaboli, alla stupidità- degli imprenditori, e in particolare dei loro portavoce influenti (in Italia assistiamo oggi alla loro unica voce come suprema istanza di giudizio su tutto, ndr.).
Questa però è una spiegazione limitata.
L'interesse pecuniario personale non ha un'importanza assoluta su questi problemi; anche la convinzione religiosa ha un ruolo
Per i protagonisti del mondo economico il sistema classico era - e rimane- qualcosa di più di un'organizzazione per la produzione di beni e servizi e per difendere la remunerazione personale.
Esso era anche un totem, una manifestazione di fede religiosa.  Perciò doveva essere rispettato e protetto. Imprenditori, dirigenti di società. capitalisti si innalzarono al di sopra dell'interesse materiale per difendere la fede. E molti si comportano così anche oggi.
C'era ancora un'altra ragione per il loro atteggiamento.
L'attività economica non è solo una ricerca di denaro, ma è anche una ricerca di posizione sociale e della conseguente stima di sè. E' un fatto sgradevole ma inevitabile che, nel valutare se tali risultati siano stati o no conseguiti, i successi relativi sono più facilmente percepibili nella cattiva che nella buona sorte.
In periodi di generale avversità, l'uomo d'affari di successo può vedere chiaramente che cosa, grazie ai suoi sforzi (o a quelli di un predecessore di valore), sia stato compiuto e che cosa non sia stato coronato dal successo.
Se tutti avessero grandi doti, ovvero anche solo qualche dote per quanto modesta, quest'esercizio di autoapprovazione risulterebbe meno gratificante. Verrebbe infatti a mancare il pensiero remunerativo. "L'ho fatto io" o la possibilità che un'azione rifletta le qualità superiori che l'hanno resa possibile.
Attribuire a miopia intellettuale o a un angusto interesse pecuniario la resitenza del mondo imprenditoriale alle tendenze assistenziali della Social Security (e in seguito di Lord Keynes) significa fraintendere molte cose che sono importanti nella motivazione concorrenziale e capitalistica.
Qualcosa, forse molto, va attribuito anche al piacere di vincere in un gioco in cui molti perdono".

Pensateci quando, assistendo a un talk show, realizzate che si lascia invariabilmente pronunciare la parola incontestabilmente illuminata, sulla democrazia (!), al successful businessman o all'executive finanziario.
Va così di moda, qui da noi, che neppure ci fanno più caso al paradosso "oracolare in conflitto di interesse". I conduttori.
O probabilmente ci fanno caso tantissimo.

http://orizzonte48.blogspot.it/2014/03/il-rabbioso-tramonto-delleuro-il-ttip-e.html

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