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domenica 15 febbraio 2015

Giornalista, perché le bevi (quasi) tutte?

La notizia è di qualche giorno fa: la Troika ha piegato la Grecia anche grazie alle sottili pressioni di Sarkozy, il quale, avendo avuto accesso alla lista dei clienti Hsbc trafugata a Ginevra da Falciani, sapeva che la madre dell’allora premier per di più socialista Papandreu, possedeva un conto non dichiarato da 500 milioni di euro. Diciamola tutta: fu un complotto, di cui naturalmente nessuno  era a conoscenza.
L’ex ministro del Tesoro americano Geithner ha ammesso che nel 2011 Berlusconi fu disarcionato in seguito a un complotto. In Ucraina un anno fa la verità sulla cosiddetta rivolta di Piazza Maidan è stata ampiamente aggiustata a fini mediatici oltre che ovviamente politici, presentando quello che di fatto era un golpe sotto le sembianze molto più confortevoli della commovente e pacifica rivoluzione di piazza e tacendo sul pesante, decisivo coinvolgimento di forze paramilitari neonaziste.
La vicenda di Charlie Hebdo presenta ancora oggi numerosi aspetti non chiariti e alcuni sono davvero imbarazzanti per la stampa mondiale. Uno su tutti: quando i leader mondiali si sono ritrovati per capeggiare l’immensa marcia popolare in difesa della libertà di stampa; peccato, però, che i leader non abbiano mai guidato il corteo ma si siano fatti filmare in una strada chiusa al pubblico. Dietro di loro, come vedete nella foto sopra, non marciava nessuno. Ma naturalmente né i tg né i giornali lo hanno detto al pubblico, preferendo enfatizzare la verità formale.
Persino le rivelazioni sulla già citata Lista Falciani, non possono essere certo considerate giornalismo di inchiesta, sebbene siano state presentate come tali. Qualcuno – non è difficile immaginare chi – ha semplicemente recapitato a un pool di testate internazionali gli elenchi, di cui peraltro non si sa nemmeno se autentici. E i giornali hanno sparato i nomi in prima pagina, senza nemmeno chiedersi se loro fossero strumentalizzati e a chi convenisse la pubblica gogna.
Potrei continuare con molti esempi sia recenti sia lontani ma mi fermo qui.
Chi segue questo blog conosce la mia posizione, piuttosto critica nei confronti del modo in cui oggi viene fatta informazione, per la sconcertante facilità con cui gli spin doctor riescono ad orientare e sovente a manipolare i media. Ne ho parlato recentemente in un’intervista a Enzo Pennetta per Critica scientifica e in un intervento organizzato un paio di settimane fa a Firenze dal consigliere regionale Gabriele Chiurli, con la partecipazione di Raymond McGovern, che per anni è stato capo del National Intelligence Estimates, uno dei massimi organismi Cia, e ora è uno dei più arcigni difensori delle libertà civili e implacabile critico delle politiche della Casa Bianca, sia di George W. Bush sia di Barack Obama.
Condivido al 100% la sua analisi: oggi la stampa non svolge il proprio ruolo di cane da guardia della democrazia, semmai è vero il contrario: troppo compiacente, troppo schierata, troppo pavida nei momenti in cui bisognerebbe essere coraggiosi. Si beve tutte le bufale degli spin doctor. Il suo giudizio riguarda la stampa americana – che noi continuiamo a torto a mitizzare, come se fosse ancora quella dei tempi del Watergate – ma è estendibile a quella europea.
E McGovern non è certo un complottista, tutt’altro: adotta un approccio pragmatico e saggio. Non insegue le proprie fantasie e i propri sospetti, per quanto suggestivi, ma si basa  sull’analisi dei fatti, sull’individuazione delle incongruenze, sulla formulazione insistita e pertinente di domande sugli aspetti poco chiari di una vicenda, sulla capacità di individuare connessioni non evidenti a prima vista e di costruire il proprio giudizio su prove o comunque su riscontri oggettivi. Insomma, ricostruisce con il dovuto scetticismo.
Ed è paradossale che debba essere un ex analista della Cia animato da un’ardente passione civica a ricordare ai giornalisti quella che dovrebbe essere una caratteristica innata di chi fa il mio mestiere.
Non è l’unico, peraltro.
L’ex consulente politica Naomi Wolf, diventata una scrittrice famosa in particolare grazie al romanzo The end of America in cui denuncia i rischi di un’involuzione totalitaria negli Stati Uniti, in una recente conferenza ha toccato gli stessi argomenti, giungendo a conclusioni analoghe, forse ancor più coraggiose.
Siamo entrati in un’era in cui non è assurdo per un giornalista chiedersi sistematicamente se gli eventi a cui assiste sono veri o falsi. E più un evento è spettacolare, più alto è il rischio che sia stato inventato ad arte ovvero che si tratti di notizie falsecreate da governi e  da servizi segreti“, dichiara la Wolf.
Dubitare è l’unica forma di autodifesa. Per se stessi e per servire davvero il lettore.
P.S Qui potete seguire l’intervento di Naomi Wolf in inglese:
YouTube Direkt
 Marcello Foa
http://blog.ilgiornale.it/foa/2015/02/12/giornalista-perche-le-bevi-quasi-tutte/

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