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mercoledì 11 febbraio 2015

Se Atene vale meno di una banca

Il mini­stro del Tesoro Padoan a livello euro­peo prima e il pre­si­dente della Banca d’Italia Visco al con­gresso dell’Assiom Forex poi hanno rilan­ciato il pro­getto di una «bad bank» per alle­viare il sistema ban­ca­rio ita­liano. Un pro­getto che aleg­gia tra le solu­zioni per con­tra­stare la crisi quasi dal tempo della sua esplo­sione. Un pro­getto già appro­vato in altri paesi dila­niati dalle dif­fi­coltà del cre­dito come la Spa­gna e l’Irlanda. Si trat­te­rebbe di inven­tarsi una for­mula legi­sla­tiva e finan­zia­ria dige­ri­bile dall’Unione euro­pea, da non con­fon­dersi con i vie­tati aiuti di Stato, e in grado di sot­trarre dai bilanci delle ban­che la gran quan­tità di cre­diti dete­rio­rati, cioè quell’insieme di inca­gli, sof­fe­renze ed espo­si­zioni ristrut­tu­rate, che vanno dai clienti in dif­fi­coltà a quelli in stato di insolvenza.
Il Fondo mone­ta­rio cal­cola che per l’Italia i cre­diti dete­rio­rati ammon­tino com­ples­si­va­mente a 181 miliardi di euro, che il ritmo con cui escono dai bilanci degli isti­tuti di cre­dito sia molto basso (7% annuo circa) e che il loro peso sull’ammontare dei pre­stiti con­cessi sarà desti­nato ad aumen­tare almeno fino al 2019.
Tali numeri sono la risul­tante della crisi attra­ver­sata da cit­ta­dini e imprese. Que­ste ultime, in par­ti­co­lare, non sono indif­fe­renti all’esito di que­sta par­tita per due ragioni: da un lato le imprese ita­liane sono tra le più inde­bi­tate dei grandi paesi, con circa un terzo di esse in cui il pro­fitto lordo è infe­riore agli inte­ressi che pagano alle ban­che, e dall’altro per­ché la crisi sta col­pendo dura­mente il sistema pro­dut­tivo, con dif­fi­coltà evi­denti sulla capa­cità di sop­por­tare i debiti contratti.
Così nasce l’idea di una bad bank detta «di sistema», per dare rispo­ste orga­ni­che alla crisi del cre­dito e per favo­rire ban­che e imprese in primo luogo. Essa dovrà com­pren­dere un pac­chetto di prov­ve­di­menti che vanno dalle age­vo­la­zioni fiscali a un sistema per garan­tire le atti­vità deri­vanti dalla dismis­sione dei cre­diti in sof­fe­renza attra­verso mec­ca­ni­smi di car­to­la­riz­za­zioni di titoli. Farli con­fluire in nuovi con­te­ni­tori appe­ti­bili per il mer­cato. È evi­dente che tutti gli ope­ra­tori si atten­dono un ruolo da pro­ta­go­ni­sta della sfera pub­blica nel for­nire le ade­guate garan­zie. Il pre­si­dente dell’Associazione delle ban­che ita­liane, Anto­nio Patuelli, chiede di non chia­marla bad bank, poi­ché non vor­rebbe che fosse intesa come l’ennesimo «regalo alle ban­che», ma più pro­sai­ca­mente Gian Maria Gros-Pietro, di Intesa San Paolo, ammette al Sole 24 Ore che «se c’è un obiet­tivo di pub­blica uti­lità che il sin­golo pri­vato non ha con­ve­nienza a per­se­guire, allora è giu­sto che si usino mezzi pubblici».
Ecco la por­tata siste­mica. Non solo si intende sal­vare il sistema ban­ca­rio, ma si prova anche a rad­driz­zare il sistema dell’impresa. Il tra­vaso dei debiti in vario modo ine­si­gi­bili, infatti, con­sen­ti­rebbe anche di alleg­ge­rire la pres­sione sull’impresa, con­sen­tendo a quella parte di aziende rite­nute in qual­che misura ancora sane di poter sot­trarsi alla morsa dei debiti e di potersi rimet­tere sul mer­cato, magari raf­for­zando i pro­pri patri­moni con le risorse che restano a disposizione.
La giu­sti­fi­ca­zione adot­tata da Vin­cenzo Visco per que­sti aiuti è data dalla man­canza di eccessi del sistema cre­di­ti­zio ita­liano rispetto a quello di matrice anglo­sas­sone, per cui le sof­fe­renze a marca tri­co­lore sareb­bero uni­ca­mente il frutto delle dina­mi­che di libero mer­cato, effetti col­la­te­rali di una crisi che non ha col­pe­voli o respon­sa­bili. È curioso l’adottare mezzi pub­blici per soc­cor­rere mezzi pri­vati, quando il com­parto ban­ca­rio è stato pri­va­tiz­zato solo da qual­che decen­nio, è curioso il con­sen­tire la ristrut­tu­ra­zione dei debiti pri­vati quando al con­tempo si è aperta una duris­sima con­tesa inter­na­zio­nale per evi­tare la ristrut­tu­ra­zione del debito pub­blico greco.
Se si tratta di un’impresa in crisi per­sino i manuali di manag­ment con­si­gliano tra le prime ope­ra­zioni di ristrut­tu­rare i pro­pri debiti per risol­le­vare il pro­prio tes­suto pro­dut­tivo, ma se si tratta di un debito sovrano, se die­tro al paese in sof­fe­renza ci sono per­sone in carne e ossa, allora i prov­ve­di­menti per sal­vare l’intera eco­no­mia non val­gono, val­gono solo le ragioni poli­ti­che dei creditori.
Fonte: il manifesto| Autore: Marco Bertorello

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