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domenica 8 marzo 2015

Globalizzazione: una coltellata alla libertà dei popoli

Un nuovo spettro si aggira tra i meccanismi del reale umano. Non si tratta più del celebre spettro marxiano del comunismo, ma, stavolta, si tratta del drammatico spettro del globalismo mondiale: un demone costante nelle nostre esistenze, una tragica patologia del quotidiano. Il pianeta terra e l'umanità si apprestano, passivamente, a cedere ai dettami sacri di questa misteriosa autorità, a cedere alla legge suprema di questo nuovo "Grande dittatore" del pensiero.
di Alex Barone - Viviamo all’interno di un pianeta totalmente globalizzato, è un dato di fatto questo. Il fenomeno cosiddetto della globalizzazione (inteso come lo stato di connessione economica e dei rapporti in generale tra le nazioni ed i popoli del mondo) ha, infatti, ormai invaso e sottomesso ai propri principi d’autorità ogni singolo ambito della vita reale (materiale ed ideologica) dell’individuo moderno. La globalizzazione, nella sostanza, é quel processo, sviluppatosi a partire dall’epoca post-industriale, ed intensificatosi soprattutto a partire dagli ultimi decenni, all’interno del quale le molteplici nazioni del mondo iniziarono a vivere in uno stato di costante interdipendenza e relazione economica e sociale, giungendo verso una naturale uniformità nei mercati e nella cultura. La rivoluzione industriale ha reso le vite d’ogni uomo del mondo, indubbiamente, più semplici, più durature e maggiormente predisposte alla relazione con individui provenienti da ogni angolo della terra, grazie alle scoperte scientifiche e alle produzioni tecnologiche e la conseguente nascita di nuovi servizi. Il miglioramento delle reti ferroviarie, comunicative e la successiva nascita dei moderni e potenti mezzi digitali ed informatici hanno abbreviato le distanze presenti nella vastità del pianeta terra, ed accelerato, a dismisura, la vita in generale. In seguito a questo intenso processo di esplosione tecnologica si é prodotta una inevitabile connessione planetaria tra gli uomini che ha toccato anche gli ambiti economici e sociali del reale, realizzando il già citato fenomeno storico della “globalizzazione”. Tuttavia, nei fatti, questo potente fenomeno di apparente socializzazione globale rappresenta un dualismo di prospettive e, osservando la medaglia sul lato opposto, si palesano elementi di totalitarismo, ingiustizia, repressione e inibizione nella libertà d’espressione del singolo, senza eguali.
Il globalismo dei mercati, con il suo ingannevole volto da “Giano bifronte”, rappresenta una non ignorabile minaccia ai tanto decantati e valorizzati principi della libertà dei popoli e la dignità del soggetto nella sua particolarità, e a quel democratico principio d’auto-determinazione dei popoli (fortemente difeso nel celebre trattato politico di Immanuel Kant “Per la pace perpetua”). A partire dalla conclusione del secondo ed ultimo grande conflitto mondiale e con la conseguente vittoria delle potenze alleate e dell’Unione sovietica, infatti, il mondo, in particolare quello occidentale, ha visto un progressivo modellarsi della propria economia interna (con un rapidissimo passaggio da un’economia fortemente agricola ad un’economia quasi esclusivamente industrializzata), legata, sempre più, alle direzioni di potere imposte dalla potenza vincitrice per eccellenza: Gli Stati Uniti D’America. Quest’ultima, infatti, in forza al ruolo assolutamente fondamentale e determinante svolto a sostegno della lotta al nazifascismo, a guerra conclusa, ha potuto godere di una sorta di aurea di onnipotenza e primato di dominio rispetto alle altre nazioni del mondo (lo stesso ruolo egemone che la città di Atene acquisì, rispetto alle altre poleis del mondo greco, in seguito alla sconfitta degli eserciti persiani di Dario il grande). Nella storia, d’altronde, è questo il privilegio che ogni potenza vincitrice può guadagnarsi: l’autorità di dettar legge, liberamente, sulle altre nazioni, vincolandole ad un rapporto simbiotico con sé stessa. La vittoria incontrastata della potenza statunitense, infatti, ha, inevitabilmente, creato, nel mondo, un ciclo di simbiosi collettiva che ha posto i popoli alla mercé dei mercati, della cultura e dei costumi statunitensi. A partire dalla fine degli anni cinquanta, si é, infatti, innescato un processo senza ritorno di conformismo di massa ed uniformità istituzionale che ha condotto alla nascita di veri e propri istituti economici sovranazionali di potere illimitato, che uniformarono ad un unico modello etico e di principi il maggior numero possibile di nazioni – l’esempio più immediato é la nascita della “comunità europea”, come potenza sovranazionale per eccellenza, in grado di dominare e controllare i normali processi economici dei paesi aderenti-. Ma questo fenomeno di uniformità globale ha, soprattutto, colto l’ambito reale della cultura, costringendo (a partire dagli anni sessanta) i popoli dell’occidente ad abbandonare, gradualmente, quel tradizionalismo locale che caratterizza l’identità di una nazione, abbracciando uno stile di vita ed un modello di costumi conforme a quello proveniente dagli Stati Uniti D’America e perdendo sempre più la propria autonomia ontologica. Le lingue nazionali hanno, inoltre, perso sempre più rilievo, ed il delicato e poetico francese o il nobile italiano, piuttosto che il sublime tedesco, hanno ceduto il proprio valore d’origine alla sola ed unica lingua di regime: l’inglese ( lingua ufficiale degli Stati Uniti D’America). A partire dagli anni sessanta, con notevole intensificazione dagli anni ottanta, l’occidente (ormai incarnato dal modello univoco statunitense), ha, inoltre, iniziato a minare alla libertà d’espressione dell’ultimo baluardo esistente per la lotta all’emancipazione e all’autodeterminazione dei popoli: l’Oriente (ancora fedele, giustamente o ingiustamente, a quell’antichissimo compendio di valori proprio di una cultura millenaria). Le guerre in medio oriente sono un esempio storico di questa prepotenza imperialista e culturalmente demolitrice che le forze della globalizzazione ambiscono ad esercitare sul mondo, gettando bombe ed aizzando fanatici, in nome di un’uniformità di valori e costumi. Gli effetti di questa politica di dominio mondiale, sono una costante sottomissione delle mercenarie potenze europee alla potenza statunitense e la morte effettiva della libertà espressiva dei popoli che abitano il medio oriente. Durante il dopoguerra, inoltre, anche i mass media, hanno svolto un ruolo fondamentale in questo processo di creazione di un modello globalmente universale. Gli efficaci mezzi di comunicazione di massa, infatti, inviano, all’umanità, modelli di pensiero sostanzialmente uniformi, inducendo, inconsciamente, a demonizzare ed escludere a priori, invece, la presa in esame di stili culturali ed espressioni ideologiche non in linea con quelli dominanti.
Chi si oppone a questo grande e funzionale modello di pensiero (che garantisce la presenza di uomini uguali, quindi facilmente dominabili e controllabili) diviene un essere anacronistico, un inquieto, un disadattato sociale o, ancor peggio, un illiberale e chi conserva ideali di nazionalismo ed emancipazione dei popoli viene, necessariamente, tacciato di neo-nazifascismo, ignorando la realtà pura del significato di “nazionalismo” (il nazionalismo ideale della libertà, dei poeti e dei filosofi patriottici della prima metà dell’Ottocento). La globalizzazione diviene, così, l’unica via possibile e necessaria da seguire, e poco importa se il prezzo di questa uniformità socio-economia sia la morte della libertà ed autonomia tra i popoli del mondo. Ed é così che il mondo si appresta a divenire sempre più globalizzato, sempre più coeso, sempre più universale e sempre meno particolare, inducendo gli uomini a seguire i nuovi modelli della nuova religione del mondo, minacciando quel naturale senso di pluralismo nazionale e culturale che, da sempre, caratterizza la comunità umana, rendendola più ricca, varia e multiforme, soffocandolo con guerre, coercizioni economiche ed abili e tiranniche strategie di controllo psicologico di massa. Ed intanto, i potenti vertici del mondo accoltellano cinicamente la dissidenza ideologica, e si apprestano a consolidare la nuova grande dittatura dell’uomo conformista e culturalmente predefinito.

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