La Trattativa Stato-mafia e Giorgio Napolitano
Se, nelle Istituzioni, qualcuno sa, che parli
Cari Magistrati palermitani, abbattete il muro 1989-1993
la trattativa Stato-mafia è l’intonaco di quel muro
troverete i deviatori che Falcone e Borsellino chiamavano menti raffinatissime
troverete i veri mandanti dell’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Il magistrato Giovanni Falcone e Valentin Stepankov, procuratore generale della Repubblica di Russia
È stato preventivamente costruito, nelle sabbie mobili delle quattro telefonate intercorse fra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino, un pilastro portante (la colonna del “non posso dire, quantunque, credetemi, vorrei dire” ben agganciata al plinto del conflitto fra poteri dello Stato), quindi su questa costruzione (giuridicamente) resistente si è dato corso alla costruzione di una intelaiatura-tetto, capace di proteggere da inopportune piogge interroganti. Al disotto di quel preventivo miratissimo tetto, tutto è basico, pur se dall’alto e tutt’intorno continua a piovere acido. Usate pure la cartina di tornasole, sotto quel tetto, la cartina sarà meravigliosamente azzurra. Certo che la cartina di tornasole, appena fuori dalla, opportunamente programmata costruzione artificiale, diventa malignamente rossa. Ma il padrone di quella costruzione potrà negare, ai quattro venti, l’esistenza, in quel luogo, di eventi acidi.

Una testimonianza inutile
La testimonianza del Presidente Giorgio Napolitano, come lui stesso aveva preannunciato, nella sua lettera al Presidente della Corte di Assise di Palermo, del 31 ottobre 2013, incentrata come era sui contenuti della lettera di dimissioni del Consigliere degli affari di giustizia Loris D’Ambrosio, non ha portato a ulteriori informazioni che avrebbero potuto risultare utili al processo, infatti nella lettera, su menzionata, aveva scritto:
… non ho da riferire alcuna conoscenza utile al processo, come sarei ben lieto di potere fare se davvero ne avessi da riferire e tenderei a fare anche indipendentemente dalle riserve espresse dai miei predecessori Cossiga e Scalfaro sulla costituzionalità della norma di cui all’art. 205 del c.p.p.
(Nota: il testo dell’articolo 205 del Codice di Procedura Penale:
Art. 205 (Assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica e di grandi ufficiali dello Stato) - 1. La testimonianza del Presidente della Repubblica è assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di Capo dello Stato)
A voi scoprire se oggi (28 ottobre 2014) sono stati accesi i fari per far luce nel sotterraneo luogo buio, o, se sono stati trascinati i fari alla luce, perché rimanga ben nascosto il luogo buio.

Nella Sala del Bronzino
28 ottobre 2014, siamo nel Palazzo del Quirinale. Secondo una nota “non ufficializzata”, l’accesso è inderogabilmente previsto fra le 9,15 e le 9,40. In quella fascia oraria, varcherà il portone quirinalizio la Corte d’Assise palermitana giudicante, al completo. Il presidente Alfredo Montalto, il giudice a latere Stefania Brambille, i sei giudici popolari titolari e i due giudici popolari supplenti.
E che tutte le “diavolerie” tecnologiche (come cellulari, registratori, computer, macchine fotografiche, telecamere) rimangano fuori dal “Sacro Palazzo”. Che non ci sia memoria futura visiva e, quanto all’audio, vi basti quanto sarà, comunque, “ufficialmente” registrato da un tecnico della Presidenza della Repubblica; e, da questa registrazione, la verbalizzazione integrale affidata alla Cooperativa la Socioculturale, a cui il ministero di Grazia e Giustizia ha demandato, concordandola col Collegio della Corte d’Assise, la trascrizione di tutte le udienze di questo procedimento che è giunto perfino al Quirinale.
Popolo e giornalisti se ne stiano fuori. Qui dentro, il Dominus che rappresenta la Nazione basta e avanza, per tutti. 
Ma non è in nome del popolo italiano che si emettono le sentenze in questa “Nazione”?
Poiché, verranno i giorni che le genti italiche, da secolari occupanti rese pavide (paurose, vistosamente vili), e incapaci di trasformarsi in Popolo, troveranno, finalmente, il coraggio di riconoscersi Popolo. (Quei giorni futuri – tremendi come il dies ire dies illa – saranno ricordati nella futura storia italica, come i giorni furiosi della giusta, ira liberatoria) Oggi, per allora, almeno un osservatore esterno lo rappresenti questo futuro Popolo Italico, per testimoniare se, finalmente, chi sa ha deciso di parlare. Infatti, un osservatore invisibile è presente, nella Sala del Bronzino, mentre, intorno alle 10, vi risuona una dichiarazione, non ordinaria per quelle antiche mura.
Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza.
È il Presidente Giorgio Napolitano a pronunciarla. Una dichiarazione solenne, ma una deposizione “limitata” da una sentenza della Corte Costituzionale, dal titolo sintetizzato “orientativo” Capo dello Stato ed intercettazioni. È la sentenza n. 1 del 15 gennaio 2013, relativa all’udienza pubblica della Consulta, avvenuta il 4 dicembre 2012, che risolveva il conflitto di attribuzione sollevato dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nei confronti del Tribunale di Palermo, relativamente alla utilizzabilità delle quattro telefonate registrate, intercorse fra il Presidente e Nicola Mancino, uno dei nove imputati, in quanto accusato di falsa testimonianza.