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domenica 30 ottobre 2016

Modello Boldrini (l’armata delle lacrime)

20/06/2013 Roma, celebrazione della Giornata del Rifugiato. Nella foto Laura Boldrini, presidente della Camera

Sull’accoglienza del migrante o profugo o quant’altro posso dire una cosa: è una delle cause della nostra disfatta come nazione.
Non ho, parimenti, alcun dubbio che tale disfatta sia voluta e pilotata.
Voluta a vari livelli, non sempre comunicanti fra loro.
La migrazione di massa fa data da un’altra disfatta, quella dell’Unione Sovietica. Fu quella disfatta ad aver liberato gli spiriti del vaso di Pandora della globalizzazione più folle.
La globalizzazione di uomini e merci dura da almeno venti anni, e oggi gode di una recrudescenza fortissima a causa delle guerre che la Nato ha scatenato.
Essa è alla base del deterioramento del tessuto sociale, economico e urbanistico italiano.
Guardate Roma: tutti ad arrovellarsi su cosa fare per Roma, come guarire Roma, come risollevare la comabonda Roma.
L’unica cosa che nessuno ammetterà mai è che l’immissione nella città di almeno mezzo milione di individui (senza qualifica, senza controllo e senza alcun rapporto con la comunità preesistente) la vera e precipua causa dell’abbassamento della qualità dei servizi e di un’anarchia sociale senza precedenti.
L’Italia tiene ancora dopo vent’anni e più di assalti perché ha ancora grasso da tagliare. Come detto in altri post, il grasso finirà.
Quando il grasso finirà ci sarà da ridere (o da piangere) e sarà troppo tardi per reagire.
La migrazione epocale in atto ha lo scopo di livellare in basso le conquiste per il benessere della piccola e media borghesia ottenute nel dopoguerra al riparo della Costituzione Repubblicana.
La migrazione di massa in atto nel nostro paese, inoltre, è parte della guerra civile italiana. Polizia, magistratura, media, larga parte del mondo economico assistito col soldo pubblico, i politicanti e le loro legioni di clientes la appoggiano. Essi rappresentano il patriziato.
Tutti coloro che non rientrano in questo cerchio magico, i plebei, la subiscono.
Il patriziato amante dell’invasione è una minoranza, ma ben oliata e organizzata.
I plebei che subiscono l’invasione sono un branco di pecore a cui basta l’abbaiare di un cane qualunque per rientrare nei ranghi. Anzi, a volte queste pecore non hanno nemmeno l’astuzia di riunirsi in un branco. Belano e basta. Spesso l’una contro l’altra.
Il patriziato occupano tutti gli spazi preposti della propaganda.
I plebei sfogano il livore su Internet e poco altro gli resta.
Il patriziato della propaganda si servono di un’arma formidabile: la compassione.
La compassione del politicamente corretto è usata in modo sistematico, tramite una serie di luoghi comuni ben definiti, che il patrizio della propaganda ha oramai mandato a memoria.
Esempio: se affonda un barcone questo barcone è quasi sempre di profughi, mai di clandestini.
Se il barcone affonda e ci sono morti fra i morti ci sono sicuramente un certo numero di bambini (il patrizio della propaganda sa, miracolosamente, da subito, quanti sono, onde stuzzicare la lacrima facile).
Se il barcone affonda e ci sono sopravvissuti, i sopravvissuti sono giovani donne.
Fra queste giovani donne è quasi sempre una donna incinta.
Oppure una vecchia che fuggiva dalla guerra.
Oppure un dissidente che fuggiva dalla guerra voluta dal dittatore che, sempre, è un dittatore sgradito alla Nato.
Tutti, infatti, fuggono dalla guerra, soprattutto se fuggono da una nazione che non contempla guerre in corso.
Questo il teatrino.
Anche quei razzisti di Goro e Gorino cosa hanno respinto?
Donne (una incinta), bambini, vecchi, profughi che scappano dalla guerra (quale guerra non si sa; fuggono dalla guerra in generale; inutile che controlliate).
L’essenza del politicamente corretto è questa: far sentire in colpa il terribile uomo bianco italico.
La sinistra sessantottina e il putridume dei centri sociali sono naturaliter terzomondisti, come la borghesia chic che legge gli inserti di Repubblica e Corriere.
I bianchi italiani, soprattutto i maschi, hanno sempre torto. Anzi, è loro la colpa. Gli abitanti di Goro sono colpevoli in quanto maschi, bianchi e italiani, soprattutto. Loro non lo sanno, ma le loro calde case e quei quattro soldi che si ostinano a difendere rappresentano l’emblema della colpa.
Chi ha una casa e qualche risparmio oggi in Italia è, infatti, un colpevole.
E di che?
Di tutto.
Delle colonizzazioni, della fame nel mondo, della lebbra in Asia, della mortalità infantile in Angola. Di tutto. Se non accogli sei colpevole. Devi accogliere per espiare la tua storia, uomo bianco.
Ce lo ripetono tutti i giorni. Anche oggi a Radio3.
L’ho sentito con le mie orecchie.
Degli abitanti di Gori il conduttore si vergognava profondamente.
Era davvero schifato.
Noi li abbiamo ridotti così, piangeva, e noi dobbiamo espiare, accogliere, aprire porte e case e cantine e alberghi.
Se non lo facciamo siamo dei Caino.
Capito, gretti abitanti di Goro?
E il prefetto? Un piangina mai visto.
E il sindaco? Buttava lacrime come la Madonna di Civitavecchia.
La compassione è un’arma cruentissima.
Nel 2016 serve a vincere guerre.
E questa è una guerra. Non fra Islam e Occidente, ma fra ricchi e (futuri) poveri.
La compassione … la compassione … ce l’hanno instillata giorno dopo giorno.
Il bambino, la donna (incinta), l’uomo che fugge dalla guerra.
Quante figurine può giocare la propaganda.
Il bambino, la donna, l’uomo che fugge dalla guerra – queste lacrimevoli statuine che usano per farci accettare l’inaccettabile – mi hanno fatto venire in mente un bellissimo racconto di Philip Dick, Modello 2 (Second variety).
Un racconto del 1953.
Ve lo riassumo in breve.
Scoppia una guerra nucleare fra Unione Sovietica e Stati Uniti.
L’Europa è spazzata via.
Gli Stati Uniti sono desertificati, tanto il loro Quartier Generale è costretto a trasferirsi sulla luna. Anche L’Unione Sovietica è un cumulo di macerie, ma conserva un vantaggio bellico consistente.
Finché i tecnici americani non inventano gli Artigli.
Gli Artigli hanno un unico scopo: rintracciare ogni forma di vita nemica (in tal caso i soldati russi) per annientarla. Si rivelano efficientissimi.
Lo scontro mondiale, grazie al nuovo ritrovato tecnologico, volge ora a favore degli americani.
Ma vi è un intoppo.
Le fabbriche che producono gli Artigli, completamente automatizzate e autosufficienti, sviluppano una sorta di autocoscienza e cominciano a produrre androidi di alto livello indistinguibili dagli esseri umani. E questi androidi, in modelli sempre più perfezionati (Modello 1, Modello 2, Modello 3, Modello 4), non cercano solo lo sterminio dell’Armata Rossa, ma di ogni parvenza di essere umano: russo, americano, tedesco, polacco.
E come questi modelli androidi riescono a infiltrarsi nei bunker atomici e a distruggere ogni forma di vita?
Grazie alla compassione.
A esempio, ecco il Modello 3, chiamato David, il Bimbo con l’Orsacchiotto.
Era piccolo, giovanissimo. Poteva avere otto anni … indossava un maglioncino, azzurro scolorito, logoro e sporco, e dei pantaloncini. Aveva i capelli lunghi e arruffati, di colore castano. Gli ricadevano sul volto e intorno alle orecchie. Teneva qualcosa tra le braccia … Era un giocattolo, un orso. Un orsacchiotto. Il ragazzo aveva gli occhi grandi, ma senza espressione“.
I soldati russi vedono il  bambino aggirarsi sulle spianate calcinate dalle battaglie termonucleari. Si impietosiscono. Aprono le porte del bunker.
Dice uno dei protagonisti, un maggiore: “Li abbiamo fatti entrare e abbiamo cercato di nutrirli. I soldati si affezionano subito ai bambini“.
Una volta entrato il piccolo androide David (David che tiene stretto il suo orsacchiotto) compie la strage. Centinaia, migliaia di David eguali l’uno all’altro, una folle teoria di automi, si insinuano nei più segreti avamposti del fronte russo. L’esito è devastante. Il fronte cede di schianto.
L’americano Hendricks si volta a guardare l’androide David (uno dei tanti), a cui un russo ha fatto saltare la testa: “Dai resti di David rotolò via una rondella. Si vedevano dei relè, il luccichio del metallo. Pezzi, fili. Uno dei russi diede un calcio al mucchietto dei resti, ne uscirono fuori i pezzi di un ingranaggio … rondelle, molle e asticelle di metallo … la parte frontale della testa era volata via, riusciva a distinguere il cervello artificiale, i fili, i relè, i tubicini e gli interruttori, migliaia di piccoli bulloni …
Ma questo è solo uno dei modelli.
Ce n’è per tutti.
Ecco il Modello 1, il soldato ferito: “… seduto sul ciglio di un sentiero, con un braccio legato al collo, il moncherino di una gamba disteso, una rozza stampella in grembo“. La compassione vince di nuovo. Si spalancano i bunker: come resistere a un commilitone ferito, in fuga dalla guerra? Accogliamolo. Il modello Uno entra e fa strage, di nuovo. “Somigliano a delle persone, ma sono macchine … ne basta uno per far entrare tutti gli altri …
Poi c’è il Modello 2, quello che sarà fatale alle linee e al quartier generale americano. Una ragazza, una diciottenne, capelli neri, occhi neri, smagrita dalla guerra. Il protagonista, Hendricks, mosso dalla compassione, le regala i codici per arrivare su Base Luna. Troppo tardi si accorgerà che il suo gesto pietoso avrà condannato l’ultimo avamposto degli Stati Uniti.
Il Bambino, l’Uomo che Fugge dalla Guerra, la Donna.
Dick s’è inventato anche il modello 4, Klaus Epstein, un empatico soldato austriaco (arruolatosi nell’Armata Rossa) dal dolce nome ebraico.
Al Modello 4 egli s’è fermato.
La propaganda non si ferma, però.
Modello 5: il giornalista dissidente in fuga dal dittatore (si diventa dittatori solo quando si è contro la NATO).
Modello 6: il “diverso” perseguitato dalla repressione del (feroce) dittatore.
Modello 7: l’intellettuale (che ha studiato nei paesi NATO) perseguitato (in contumacia) dalla (ferocissima) dittatura.
Modello 8: il povero vecchino centenario in fuga dalla repressione del feroce dittatore.
E così via.
La cosa che più mi disgusta, tanto che ormai non leggo o ascolto più niente, è che tale compassione falsa, stucchevole e strumentale ha provocato in me il rigetto sadico di ogni forma di pietas. E questo, per me che vengo dalla tradizione della sinistra comunista, è un vero capolavoro di demoniaca malvagità.
Dal racconto è stato tratto un film nel 1995 (Screamers. Urla dallo spazio) che ne snatura l’essenza profonda.
Vi consiglio, perciò, la lettura del testo originale.
Alceste
Fonte: http://pauperclass.myblog.it
Link: http://pauperclass.myblog.it/2016/10/28/modello-boldrini-larmata-delle-lacrime-alceste/
28.10.2016
http://comedonchisciotte.org/modello-boldrini-larmata-delle-lacrime/

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